La Leggenda del Pianista sull’Oceano meritava molto di più

La Leggenda del Pianista sull’Oceano meritava molto di più

La Leggenda del Pianista sull’Oceano meritava molto di più


La Leggenda del Pianista sull’Oceano tra tutti i film italiani degli anni ’90 è senza ombra di dubbio ancora oggi uno dei più ambiziosi, uno dei più complessi e profondi. Giuseppe Tornatore, traendo spunto da un monologo di Alessandro Baricco, creò un kolossal atipico, a metà tra Hollywood vecchio stile ed epopea del concetto di scoperta e di alienazione. Non ebbe il successo che ci si aspettava ma ad un quarto di secolo di distanza, rimane qualcosa di unico.

Una straordinaria odissea tra musica e onde del mare

Con La Leggenda del Pianista sull’Oceano, Giuseppe Tornatore cercò di ricreare la magica combinazione che gli aveva permesso di conquistarsi un posto di rilievo sulla scena internazionale, grazie a Nuovo Cinema Paradiso, premiato con l’Oscar. Una Pura Formalità, l’Uomo delle Stelle, Stanno Tutti Bene, avevano confermato il suo status di regista in grado di destreggiarsi con atmosfere e personaggi di grande varietà, con uno stile inconfondibile. Nel celebrare il legame tra fantasia e realtà, tra viaggio e cambiamento, ebbe l’idea di trasformare in film un monologo creato nel 1994 da Alessandro Barrico, inerente la strana e per certi versi tragica esistenza di Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento (Tim Roth). A raccontarne l’incredibile vicenda umana era il suo ex migliore amico: Max Tooney (Pruitt Taylor Vince).

Novecento è letteralmente nato e cresciuto a bordo del Virginian, un Transatlantico che fin dai primi anni del XX secolo ha trasportato ricchi e poveri dall’Europa all’America. Non si sa chi siano i genitori, da dove viene, di base è una sorta di fantasma, ragazzo e poi giovane uomo il cui universo inizia e finisce dentro quella nave. Ma al pianoforte, su quei tasti, egli invece di confini non ne conosce, è un genio disarmante per naturalezza a fantasia. Tutto questo La Leggenda del Pianista sull’Oceano ce lo narrava in modo agrodolce, malinconico eppure spesso ironico, potente nelle emozioni che sapeva risvegliare. Ad elevare il tutto, le musiche del maestro Ennio Morricone, capace anche qui di dare il meglio di sé, rendendo l’insieme più che un film musicale, un film sulla musica, sull’importanza che la stessa ha nel descrivere il mondo.

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Da Per un pugno di dollari a C’era una volta l’America, passando per Novecento e Nuovo Cinema Paradiso, ecco alcune delle composizioni immortali che il grande maestro ha composto per il cinema

Film fiume quello di Giuseppe Tornatore, come oggi è ormai garantito nelle sale, ma che una volta era assolutamente mal visto da produttori e distributori. Il che spiegò anche il risultato al botteghino largamente inferiore alle attese, vista la volontà da parte della distribuzione americana di sfrondare il film, renderlo più corto. Scelta molto infelice, che ricorda ciò che successe a C’era una volta in America di Sergio Leone, ed infatti La Leggenda del Pianista sull’Oceano così come era stato concepito da Tornatore sarebbe arrivato solo più tardi. Questo film è un contenitore ricchissimo e sfaccettato di una miriade di tematiche, attraverso la figura di questo timido, misterioso pianista autodidatta, a cui Tim Roth, forse l’attore più sottovalutato della sua generazione, dona una profondità e una vulnerabilità meravigliose.

A fargli da spalla, così come da narratore, un grande caratterista come Vince, trombettista che ne seguirà le vicende a bordo di quel transatlantico che è un universo a parte, un pianeta, che di anno in anno trasporta un’umanità tra la più variegata e incredibile che si sia mai vista nella cinematografia, eppure proprio per questo realistica. La Leggenda del Pianista sull’Oceano è anche un grande affresco storico, parla delle grandi migrazioni verso l’America, quel nome che passa di bocca in bocca, soprattutto tra quelli della terza classe. Sono loro quelli a cui ama mischiarsi Novecento, che del mondo non sa né saprà mai niente, solo ciò che gli viene raccontato; ma in compenso dell’uomo, nel senso più universale possibile, saprà sempre qualcosa in più degli altri.

Tra struggimento e solitudine, un inno ai diversi dalla norma

La Leggenda del Pianista sull’Oceano tra tutti i film di Tornatore è quello esteticamente più hollywoodiano, strizza l’occhio a Brian De Palma, ma anche al cinema di Martin Scorsese. Straordinario per scenografia, con una fotografia assolutamente perfetta, ruota attorno al concetto di musica come specchio dell’anima, come strumento supremo di comunicazione. Novecento riesce sempre a farsi capire da tutti, non in virtù del suo essere un poliglotta per necessità, ma perché, come confesserà il suo migliore amico, lui la sua musica la crea guardando dentro le persone che gli stanno attorno, buone o cattive che siano. Tornatore inserisce il rapporto tra opera e artista, tra autore e quello sguardo sul mondo che egli ha sempre reso un viaggio eterno tra interno ed esterno. Anche per questo, La Leggenda del Pianista sull’Oceano è e rimane il suo film più connesso all’incomunicabilità, all’alienazione esistenziale, al concetto di diverso dalla norma.



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di Giulio Zoppello www.wired.it 2023-10-28 04:40:00 ,

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